“La legge della notte”, un film di Ben Affleck, la recensione

La legge della notte (Live by night, Usa, 2017) di Ben Affleck con Ben Affleck, Sienna Miller, Elle Fanning, Chris Messina, Zoe Saldana, Chris Cooper, Brendan Gleeson, Remo Girone, Scott Eastwood, Anthony Michael Hall, Max Casella

Sceneggiatura di Ben Affleck, dal romanzo omonimo di Dennis Lehane

Thriller, 2h 08’, Warner Bros. Pictures Italia, in uscita il 2 marzo 2017

Voto: 3 su 10

Più volte abbiamo avuto modo di ribadire quanto la presenza scenica di Ben Affleck, specie negli ultimi anni, possa essere deleteria per un film, in netto contrasto con le sue notevoli qualità registiche. L’attore californiano, con La legge della notte, si macchia però di un’ulteriore colpa: non solo dirige questa trasposizione cinematografica dal romanzo omonimo di Dennis Lehane (autore già valorizzato da Affleck nel suo eccellente esordio dietro la macchina da presa, Gone Baby Gone), non solo chiama se stesso a interpretare in maniera penosa il protagonista principale, praticamente sempre in scena, ma soprattutto scrive da solo la sceneggiatura. Il risultato è di un’ingenuità tale da fare a botte con la sicumera sfoggiata dalla star in quella che doveva essere una sua grande occasione artistica, molto attesa dopo l’Oscar ricevuto per Argo nel 2012.

50818Il film, infatti, vorrebbe essere uno sfavillante omaggio ai gangster movie classici della Warner Bros, quelli interpretati da James Cagney e Humphrey Bogart, con ricostruzione accademica dei roaring twenties e tutto il corollario di proibizionismo e malavita. La legge della notte è senza dubbio l’opera più ambiziosa e costosa di Affleck che, peccando di un’orgogliosa tracotanza (gli antichi greci l’avrebbero definita hybris) ha trasformato la sua creazione in un fallimento direttamente proporzionale alla sua ricchezza produttiva. La storia è piatta e noiosa, fitta di dialoghi sentenziosi e di personaggi accessori e scollegati tra loro, ma il demerito non è certo di Lehane, quanto di una sceneggiatura ridicolmente abborracciata, superficiale e pedestre come quella di una brutta fiction televisiva.

Merita ancora una volta un discorso a parte la questione di Ben Affleck attore: per il ruolo di Joe Coughlin, un fuorilegge perennemente diviso tra la via della giustizia e quella della criminalità, combattuto tanto nei ricatti quanto nei sentimenti, era indispensabile un volto umano, complesso, dal grande carisma; il povero Ben, invece, attraversa la scena con la sua perenne, inimitabile e intramontabile espressione inebetita senza abbandonarla mai, che sia di fronte al posteriore di Zoe Saldana o in un duello di morte col nostro Remo Girone (che fa tanto Orgoglio e il rispetto). La faccia da tonto di Affleck, messa su un fisico decisamente appesantito dalle troppe birre e da una palestra scellerata, unita ai lussuosi abiti colonial che il nostro dovrebbe indossare con nonchalance, creano l’effetto fatale di un ectoplasma infagottato per una recita mascherata in parrocchia. E, con lui, anche il film precipita nel grottesco senza scampo.

Giuseppe D’Errico

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