“La Gioia”, uno spettacolo di e con Pippo Delbono, la recensione

LA GIOIA
di Pippo Delbono

con Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Bobò, Margherita Clemente, Pippo Delbono, Ilaria Distante, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Pepe Robledo, Zakria Safi, Grazia Spinella
composizione floreale Thierry Boutemy
musiche di Pippo Delbono, Antoine Bataille e autori vari
luci Orlando Bolognesi – suono Pietro Tirella
costumi Elena Giampaoli – capo macchinista e attrezzeria Gianluca Bolla
responsabile di produzione Alessandra Vinanti –  organizzazione Silvia Cassanelli
direttore tecnico Robert John Resteghini
foto Luca Del Pia

Produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione
Compagnia Pippo Delbono
coproduzione Théâtre de Liège, Le Manège Maubeuge – Scène Nationale

Ringraziamenti a Enrico Bagnoli, Jean Michel Ribes, Alessia Guidoboni (assistente di Thierry Boutemy) e Théâtre de Liège per i costumi

Andato in scena all’Arena del Sole di Bologna

Voto: 8 su 10

Anche nell’ultimo spettacolo – “La Gioia” andato in cena all’Arena del Sole di BolognaPippo Delbono porta in scena se stesso mettendosi, ancora una volta, a nudo e donandosi in un flusso di emozioni e sentimenti che trascinano lo spettatore dentro la giostra delle emozioni dell’artista che osserva il mondo e la sua esistenza e cerca di sintetizzarla nella sua poetica.

E se la gioia, stando al titolo, dovrebbe essere la protagonista dello spettacolo, ci si accorge, molto presto che essa è solo un punto di arrivo, anzi meglio, un’intermittenza nel flusso della vita, uno spazio vuoto che conosce l’alfabeto della leggerezza, una sensazione che non si deve pensare ma sentire. E, per poterci, arrivare, per poterla scorgere, anche solo un attimo, si deve passare dentro un turbinio sofferenza, follia, angoscia, tormento, morte.

La gioia però è una parola che spaventa perché abusata e stigmatizzata, il cui senso troppo spesso è stato manipolato nell’era della pubblicità e del consumismo estremo dove si crea l’illusione che per essere felici bastino i beni materiali. No, non è questo il concetto di Gioia che Delbono vuole proporre al suo pubblico. Il tentativo di questo viaggio consiste nel voler ritrovare il luogo in cui si cela la gioia, un luogo che si può trovare solo nella parte più profonda dell’essere umano, dentro le ferite, nelle pieghe del dolore.

Ed è proprio per questo che lo spettacolo è in divenire, mai uguale a se stesso, con dei buchi neri che lasciano spazio all’imprevisto, all’inatteso, all’ignoto. Perché il pubblico è parte integrante della ricerca, è compagno nel cammino e solo se si riuscirà a creare un’alchimia tra attore e spettatore si sarà compiuto un passo, tutti indistintamente, verso la bruciante intuizione sentimentale dell’artista.

2 La Gioia - Pippo Delbono (foto di Luca Del Pia)

Sebbene nella pièce ci siano molti tratti distintivi della poetica di Delbono è anche vero che ne “La Gioia” si scorge la ricerca dell’essenza, della semplicità teatrale. Di certo c’è la presenza della compagnia storica, con Gianluca, Bobò e Nelson, icone della poetica e del viaggio di ricerca del regista, votato ad uscire dagli standard e a rintracciare nella diversità e nell’unicità il suo senso di verità. altro strumento indispensabile e identificativo è il microfono e l’uso del monologo come mezzo per raccontarsi: in un flusso di coscienza la voce del regista accompagna lo spettatore dentro la sua anima, aiuta a sviscerarla a contorcerla per cercare lo strato più nascosto.

Il palco è scarno, pochi sono gli elementi che lo animano nel corso dello spettacolo, ma tutti volti a creare grande poesia, ad ampliare le emozioni. Come la gabbia che scende dall’alto e incastra il regista in una sedia dove confessa tutto il suo dolore, la paura e l’angoscia che lo accompagnano ogni giorno. O come i cumuli di indumenti sparsi su palcoscenico e poi accumulati nella simbolica montagna di disperazione dei popoli costretti ad emigrare, a lasciare le loro terre in condizioni disumane alla ricerca di un briciolo di “Gioia”.

A impreziosire il tutto le magnifiche luci di Orlando Bolognesi, le composizioni musicali di Pippo Delbono e Antoine Bataille, i versi, sommessi e rivelatori a un tempo, di Kikuo Takano e infine le magnifiche composizioni floreali di Thierry Boutemy che ricordano, come declama il regista che è necessario amarsi come si è e non desiderare di essere un fiore diverso: “Se non sei felice può darsi che devi ancora sbocciare”.

Amelia Di Pietro

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