“Jupiter – Il destino dell’universo”, i Wachowski in un tripudio di amenità

Jupiter – Il destino dell’universo (Jupiter Ascending, Usa, 2014) di Andy e Lana Wachowski con Mila Kunis, Channing Tatum, Eddie Redmayne, Sean Bean, Douglas Booth, James D’Arcy, Vanessa Kirby, Doona Bae, Terry Gilliam, Tuppence Middleton

Sceneggiatura di Andy e Lana Wachowski

Fantascienza, 2h 03′, Warner Bros. Entertainment Italia, in uscita il 5 febbraio 2015

Voto: 4 su 10

I fratelli Wachowski, è vero, tentano sempre di proporre nuovi spunti al genere cinematografico cui sembrano essersi immolati (a fronte di un lesbo-noir che in molti hanno dimenticato, il torbido Bound): lo fecero, ai tempi, con Matrix – esauritosi poi nei deliranti capitoli successivi – e col detestatissimo Speed Racer, ci riprovarono con lo sfortunato e ambizioso Cloud Atlas tre anni fa, e adesso tentano, con Jupiter – Il destino dell’universo, la carta della fantascienza nostalgica figlia degli anni Ottanta, che pesca da quell’immaginario per ricrearne uno autonomo.

Purtroppo, però, nel film non funziona quasi nulla. In esso ritroviamo sì la massa eterogenea di suggestioni tanto cara ai suoi autori, ma neppure proviamo a riassumere la trama, tanto è confusa e sgangherata. Il guaio è che un’operazione simile, volutamente scanzonata e roboante, per risultare realmente efficace avrebbe dovuto abbattere la barriera del kitsch arrivando al sublime, cosa che accadeva in un cult come Flash Gordon. Invece i Wachowski rinunciano a qualunque soluzione narrativa plausibile, annientano la consequenzialità temporale, saltano di palo in frasca come se nulla fosse, caratterizzano penosamente il personaggio principale (interpretato in maniera lapidaria dalla Kunis) e affastellano dinastie e dimensioni parallele senza avere alcuna mira chiara.

Il risultato è un fallimento direttamente proporzionale alla fiducia riposta nel pubblico che, nonostante la grandiosità degli effetti speciali, correrà seriamente il rischio di ritrovarsi a sognare tra le braccia di Morfeo. A cosa ci si dovrebbe appassionare in questo tripudio di amenità senza capo né coda?

Giuseppe D’Errico

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