“Incognito” di Nick Payne, uno spettacolo di Andrea Trovato, la recensione

INCOGNITO
di Nick Payne

regia Andrea Trovato
con Graziano Piazza, Anna Cianca, Giulio Forges Davanzati, Désirée Giorgetti
scene Luigi Ferrigno
costumi Tiziana Massaro
luci Pietro Sperduti
musiche originali Fabio Antonelli
assistente alla regia Marcello Paesano
produzione Carmentalia e Gli Ipocriti
partnership Human Valor e Progetto Itaca (Roma)
collaborazioni Chiara Anaclio e Daniele Barraco

In scena al Teatro della Cometa di Roma fino al 22 aprile

Voto: 7 su 10

Nick Payne non è il nuovo Tom Stoppard, ma di sicuro è tra i giovani autori inglesi che più si stanno facendo notare, per originalità e spessore drammaturgico, nel panorama teatrale contemporaneo. Dopo Costellazioni, portato in scena in Italia con la regia di Silvio Peroni, arriva da noi anche Incognito, grazie all’interessamento e alla strenue profusione di impegno e forze di Andrea Trovato, che l’ha diretto, e di un attore incantevole come Giulio Forges Davanzati. Ed è lodevole che un testo così raffinato e complesso possa trovare spazio in un cartellone stagionale comprensibilmente rassicurante come quello del Teatro della Cometa di Roma, che coraggiosamente ha sposato il progetto quando era ancora in fieri. 

29573148_10212501543628498_3737078521208688920_nAl centro della narrazione c’è una domanda universale: cos’è la mente umana? Protagonista assoluto di Incognito è, infatti, il cervello, l’organo i cui misteriosi meccanismi sono ancora oggetto di studio della scienza e che ci permette di conservare dati e ricordi, di condizionare le nostre scelte e, in qualche modo, di modificare il corso della nostra vita plasmando senza soluzione di continuità il nostro carattere e l’identità personale. Quattro attori su un palco scuro e scarno sono la materia grigia di un racconto che si sviluppa su più piani temporali e accumulando ben 21 personaggi. Nel magma di eventi cronologicamente scomposti si possono individuare tre piste narrative principali: la prima è quella del dottor Thomas Harvey, interpretato da Graziano Piazza, che nel 1955 trafugò ingenuamente il cervello di Albert Einstein durante l’autopsia per poterlo dissezionare e venire a capo di una possibile mappa della sua genialità; la seconda appartiene a Henry Molaison, meglio noto in letteratura medica come “paziente HM”, l’essere umano più studiato dalla neuroscienza, che nel 1953 si sottopose a un delicatissimo e sfortunato intervento chirurgico al cervello per curare la sua epilessia, col risultato di perdere la memoria a lungo termine eccetto ricordare fino all’ultimo giorno di vita l’amore per la fidanzata Margaret (li interpretano Giulio Forges DavanzatiDèsireè Giorgetti); la terza linea è ambientata nel presente e fa capo a una neuropsicologa clinica di nome Martha, col volto di Anna Cianca, tormentata da un dissidio interiore che la porta a un dilemma irrisolvibile: cercare disperatamente di dimenticare un passato troppo pesante da sostenere o godere delle opportunità di una situazione amnesica come i suoi pazienti?

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Nick Payne, che sulla fatalità delle memorie ha sceneggiato anche il film tratto da Julian Barnes The Sense of and Ending, mette a punto un ingranaggio stimolante e, al contempo, estremamente complesso di voci e considerazioni sulla natura dell’uomo, sulla sua indole condizionata dalle piccole e grandi storie vissute in precedenza. Perdersi è facile nei meandri di una rappresentazione che sfida continuamente lo spettatore nella sua voglia di trovare un filo logico delle cose. L’unica scelta saggia da prendere verso un testo come Incognito è quella di abbandonarsi alle sue connessioni accennate, senza pretendere di venire a capo di una riflessione che, probabilmente, varia a seconda dell’occhio che guarda. Resta evidente la straripante sincerità del progetto messo in atto da Trovato, che adotta uno stile di regia austero e minimale, tutto pur di non oscurare la parola dell’autore e l’eccellenza di una partitura recitativa che non conosce stonature. Col solo dubbio che le pur magnifiche interpretazioni non siano ancora in grado di accompagnare per mano il pubblico all’interno di un congegno drammaturgico astruso e ostico, finanche respingente, ma mai gratuitamente cerebrale.

Giuseppe D’Errico

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