Il ponte interculturale, incontro con Enrico Olivanti

Enrico Olivanti è un giovane musicista italiano che vive e lavora in Germania. In realtà la sua vita è un ponte tra il Roma e Dresda, che percorre assiduamente da ben due anni nel lungo e difficile percorso che sceglie un artista.
Approfittiamo del concerto che terrà con il suo quintetto per fare una chiacchierata su questo momento storico personale e professionale. Tanti e delicati i temi trattati.

Enrico, ascoltare la musica e farla… due approcci differenti. Il limes quando è stato varcato da te e per assecondare quali ragioni o esigenze? 

Beh direi che se con il “varcare il limes” intendi l’inizio del mio rapporto con uno strumento musicale il tutto iniziò a 12 anni, quando a Natale ricevetti la mia prima Chitarra Classica.
Fu un Amore prima vista che però fu preceduto da un innamoramento figlio dell’ascolto: infatti circa due anni prima, per la mia Prima Comunione ricevetti per regalo un “walkman” e mi immersi da subito nell’ascolto di un paio di musicassette che erano a casa, nelle quali spiccavano dei suoni di Chitarra…
Pur conquistato da questi suoni e forse già consapevole della grande svolta che avrebbero dato alla mia Vita, dissi a me stesso che mi sarei concesso ancora un paio di anni di “pallone” come tutti gli altri bambini e poi avrei dedicato una parte sempre crescente delle mie energie a questa passione ancora in pectore ma già così promettente.
Ragioni ed esigenze specifiche non le sapevo e non le saprei ancora oggi individuare con precisione, se non in quel misterioso senso di completezza, soddisfazione fisico-spirituale e di contatto intimo con la manifestazione della Bellezza che mi procura il vivere la Musica sotto ogni suo aspetto. 

Il conservatorio, le scuole, le accademie di musica. Come definiresti lo studio e la formazione in Italia e quale consiglio daresti ad un novello “olivanti”; sugli studi da compiere e i percorsi da intraprendere? 

received_10156911383716808Bella domanda. Per rispondere mi viene da citare ciò che dico spessissimo ai miei allievi, ovvero di vivere il proprio percorso di apprendimento e di studio armandosi sempre di una genuina dose di “Anarchia” data dalla consapevolezza del fatto che ogni forma di espressione artistica può rappresentare non solo l’espressione della nostra individualità più pura, ma anche la via unica e irripetibile attraverso la quale il mondo e la realtà si offrono all’osservazione e alla contemplazione da parte di un punto di vista inedito e replicabile quale quello del singolo individuo artista o interprete. Credendo però in una sorta di “Anarchia” buona e costruttiva, il risultato di un tale esercizio dovrebbe essere al contempo un profondo interesse e una continua curiosità nei confronti delle esperienze che ci hanno preceduto così come delle esperienze a noi contemporanee.
Questo rappresenta anche il mio ideale di Didattica musicale sul piano Istituzionale, dal quale ahimè in Italia si è ancora molto lontani tranne che in rare eccezioni sparpagliate nella penisola e spesso relegate a posizioni di margine nell’ambito accademico riconosciuto.
Il consiglio che posso dare a un ragazzo o a una ragazza che si trovino in procinto di intraprendere studi musicali è quello di armarsi di un profondo Amore per la Musica e per tutto ciò che denota la propria Personalità, che si tratti non di un Amore accecante pronto a tramutarsi in egomania, bensì di quella cura propria di chi sta coltivando un seme chiamato a dare fiori che rendano noi stessi e il mondo circostante migliori. Se armati di un tale sentimento non si potrà che godere di positive esperienze didattiche anche in ambito accademico, come non si potrà che resistere tramutando in esperienze costruttive le eventuali delusioni o esperienze negative da parte di “cattivi maestri” o dalle mancanze istituzionali del caso.

L’approdo in Germania. Oggi cosa è cambiato per te e come, soprattutto, affronti questa grande esperienza di vita e professionale? 

L’approdo in Germania ha rappresentato una svolta generale nella mia Vita non solo musicale: il vivere in un Paese situato al centro dell’Europa e da sempre protagonista nel bene e nel male di ogni grande movimento, svolta, avanguardia artistico-culturale che abbia investito il continente e il mondo mi ha permesso di scoprire molte sfaccettature del mio essere musicista che erano rimaste nell’ombra e che oggi tuttavia, nel loro sviluppo, tracciano una sostanziale continuità con la mia fase “italiana”.
Io affronto questa grande esperienza su un binario doppio: se da una parte lascio emergere i miei tratti musicali e culturali che più mi legano a atmosfere di tipo europeo-continentale, dall’altra vedo maturare con sempre maggiore forza il mio legame profondo con l’anima mediterranea più conforme alle mie origini. Devo dire che il connubio fra queste due grandi categorie dell’espressione dello spirito occidentale-europeo mi stupisce e mi affascina sempre più.

Le radici, Roma, la Cina… ora la Germania con Berlino e Dresda. 
Sei un migrante anche tu. 
Il viaggio è la più grande metafora della vita, ci puoi spiegare in quali luoghi fisici e metafisici ti ha condotto finora questo pellegrinaggio. 
Parlerei non solo di luoghi, bensì di incontri veri e propri con destini diversi e allo stesso tempo assai simili.

Credo che l’essere “migrante” sia uno degli aspetti più naturali del mondo animale, dato che non dobbiamo dimenticare come intere mandrie, stormi migrino all’interno di processi che la natura vede ripetersi dalla notte dei tempi. Così è per l’Uomo, che del mondo animale, suo malgrado, è parte a tutti gli effetti. Con una differenza.
Una differenza che ci pone costantemente di fronte al dilemma riguardo al tipo di atteggiamento che siamo chiamati ad assumere nei confronti dell’inevitabile incontro col “diverso” (inteso sia come altro uomo, che come altro ambiente, paesaggio, società, cultura) in virtù della “Coscienza” di cui l’essere Umano è l’unico portatore nel mondo animale (fino a prova contraria da parte della Scienza): la Coscienza si pone alla base della civiltà quale entità fondamentalmente “stanziale” sul piano territoriale, giuridico, culturale e sociale creando limiti, confini, barriere difensive, identità territoriali e nazionali, ma allo stesso tempo si offre quale strumento imprescindibile per il riconoscimento reciproco con l'”Altro” da sé, che appunto presume una già acquisita “Coscienza di sé” nei rami più profondi dell’Essere.
Proprio quest’ultima viene messa costantemente alla prova da tutti gli incontri che abbiamo con l'”Altro” secondo un fenomeno che da l’opportunità a ogni Uomo di “incontrarsi e riconoscersi”, parafrasando Fabrizio De Andrè in uno dei suoi ultimi capolavori (Khorakhanè), in un processo che porta a una costante maturazione della Coscienza stessa.
Il vivere sulla mia pelle un’esperienza da artista “migrante” mi ha insegnato proprio questo e credo che nel mondo di oggi non esista compito e vocazione più alta da parte dell’Arte rispetto al porre di fronte all’Uomo il continuo confronto con sé stesso attraverso ciò che è “Altro” e il confronto con l'”Altro” in virtù di una piena Coscienza di sé stesso.
Forse il terreno di questo confronto rappresenta la meta più intrigante e bella di tutto il viaggio.

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Nella tua musica si evince un profondo legame con la terra madre, L’ITALIA. Citi spesso la grande anima cantautorale di questo paese. Non disdegni oltremodo di ricordare figure molto importanti nella coscienza sociale di questo Paese nostro, intellettuali come Pasolini, ricercatori come Basaglia, ecc. 
Cosa puoi dirci sui tuoi riferimenti umani e culturali? 
Quanto di loro vive nella tua musica?

Come vedi questa tua domanda ci porta ancora più nel profondo del tema sulla “Coscienza di se'”.
La presa di coscienza del mio essere italiano e mediterraneo non è prescindibile dal mio incontro con l’altra anima portante della cultura europea, quale quella germanica, ed è legata soprattutto a delle qualità innate nel nostro paese, delle quali nessuna crisi politico-sociale, economica e culturale ci potrà privare, anzi, credo che proprio queste caratteristiche potranno fare da leva di una rinascita quale forza trainante nel consesso europeo e globale.
Innanzitutto la nostra splendida lingua, che come nessun’altra si presta allo sposalizio fra livelli poetici altissimi e spiccata tendenza alla melodia e alla musicalità, senza perdere una propria vocazione quale “lingua di pensiero” figlia del latino e del greco.
Poi la nostra posizione geografica, il nostro essere un ponte naturale fra le culture più diverse che si affacciano sul mediterraneo: da quella araba a quelle indigene del nord-Africa, da quelle mediorientali bizantine passando per la Grecia e i balcani fino alla provenzale, catalana, il tutto in una penisola che si è prestata anche a dominazioni virtuosissime da parte di civiltà germaniche quali i Longobardi e i Normanni.
Non esisterebbe la letterature italiana di Dante, Boccaccio, Petrarca, così come la Poesia di Leopardi o la Canzone di De Andrè, Tenco, Fossati e Dalla senza quelle migrazioni che portarono fra il XII e XIII sec DC un’intera cultura quale quella occitana a emigrare dal sud della Francia verso le regioni del Nord-Italia (attuali Piemonte e Liguria) importando la tradizione della cosiddetta “poesia provenzale” progenitrice della nascente letteratura volgare italiana poi consacratasi nel Dolce stil Novo di Guinizzelli e Dante. Quella stessa letteratura è debitrice di figure come Averroè, che da esponente della cultura araba tradusse molti dei manoscritti della classicità latino-ellenica per poi donarli alla civiltà europea ponendo le basi per l’Umanesimo prima e il Rinascimento poi.
Se ci nascondiamo che “essere italiani” significa innanzitutto sentirci figli di una serie di incontri più o meno pacifici ma in ogni caso assai prolifici fra culture e civiltà fra loro “altre” rischiamo di perdere la nostra ricchezza più grande e di conseguenza l’opportunità e l’onore di poterla condividere.
Non a caso citi due figure quali Franco Basaglia e Pier Paolo Pasolini, entrambi uomini di “confine” e di “frontiera” (legati per vie traverse a una regione particolare come il Friuli Venezia Giulia) che sono stati capaci di dare un’interpretazione preziosa e inedita della stessa idea di frontiera.
Se pensiamo a Basaglia non possiamo certo dimenticare quel confine fra il concetto di “Sanità” e “Malattia” mentale il cui abbattimento ha portato la Psichiatria e l’intero concetto di “Inclusione” sociale verso orizzonti inediti, facendo dell’Italia l’unico paese ad oggi ad aver abolito la struttura del manicomio.
La frontiera conosciuta da Pasolini è certamente da un lato quella delle periferie, siano esse periferie urbane o periferie globali (non si dimentichi il Pasolini dei film e dei documentari in Africa e Medioriente). Quelle immagini così cariche di Poesia rappresentano ancora oggi una delle più esemplari dimostrazioni di come l’Arte in tutte le sue forme possa farsi grido di dignità dei dimenticati non da un punto di vista pietoso e benevolente, bensì da quello di chi dicendosi “più moderno di ogni moderno” rivendica i caratteri umani di un mondo la cui scomparsa e il cui oblio agli occhi delle classi dirigenti politiche e culturali avrebbe recato cicatrici e danni alla nostra società oggi sotto gli occhi di tutti.
Ecco se c’è qualcosa di tutto ciò che cerco di far vivere nella mia Musica e nel mio essere un musicista europeo proveniente dall’Italia è proprio questo lavorare attraverso le frontiere, non inteso solo sotto l’accezione “sperimentale” del termine, bensì secondo la dimensione dell’incontro e del confronto paritario con tutto ciò che è “Altro” e che di conseguenza aiuta a definire ciò che “sono”.

L’Amore e il suo alter-ego. 
Questa energia che investe popoli, razze, coscienze, individui. L’Amore e il Pensiero hanno condotto la vita verso meraviglie e disastri. Cosa puoi dirci del tuo personale rapporto con queste energie vitali?

A partire da queste due parole si può delineare una certa evoluzione nella mia stessa vita artistica partendo da “Il Pensiero Positivo”, che scrissi fra il 2010 e il 2011 per poi pubblicarlo nel 2014 con il mio Quintetto formato da Andrea Verlingieri al sax, Carlo Ferro al Pianoforte, Giuseppe Salvaggio al basso, Marco Tardioli alla Batteria, e il mio ultimo lavoro per Orchestra Sinfonica e Big Band scritto per la Mittelsächsische Philharmonie e la HfMDD Jazz Orchestra di Dresda, dal titolo “Il Fiore del deserto” (prima esecuzione prevista per il 11.4.2018 presso il Teatro di Freiberg in Sassonia).
Se nel primo lavoro l’idea di fondo era l’esaltazione delle potenzialità creative dell’uomo a partire da presupposti afferenti l’Intelletto, nel secondo e recente lavoro pongo al centro il tema dell’Eros secondo la sua accezione greca ben esposta dalla favola di Apuleio “Amore e Psiche”, tratta dalle sue Metamorfosi.
Il punto centrale della favola che mi ha portato a trasporla musicalmente all’intero di una cornice contemporanea risiede nell’attualità del tema di un nuovo equilibrio possibile fra Natura, Uomo e Tecnica, un equilibrio che faccia si che nessuna delle tre forze sia allo stesso tempo alienata e votata alla distruzione o comunque al dominio delle altre. Parafrasando Marcuse nel suo capolavoro Eros e Civiltà vedo una speranza nella possibilità di poter approdare ad una umanità liberata attraverso un cosciente sviluppo tecnico e tecnologico che faccia da volano per un nuovo rapporto “erotico” fra l’Uomo e il mondo. Come nella favola insomma l’incontro fra l’Anima umile e il divino Eros non può che dar vita alla Voluttà e alla Passione che, sotto forma di eterne energie e forze vitali, rappresentano quel filo indistruttibile anche se talvolta assai esile che rappresenta il nostro legame con la Vita e col Mondo, figlio anche di quell’affiancamento di Prometeo (Dio del Fuoco e della Tecnica) a Orfeo (Dio del Canto, della Poesia e della Musica) secondo le teorie di Marcuse.
Credo che fare Musica e Arte nel mondo di oggi, dall’insegnamento alla performance, passando per le mansioni più strettamente creative, rappresenti una risorsa più che mai indispensabile in vista di un tale processo di liberazione al quale, in egual misura, saranno chiamati tanto il Pensiero quanto il Sentimento.

Siamo certi che, grazie anche a persone come Enrico Olivanti, ci sia ancora spazio per la Cultura in questa Italia che lascia partire a cuor leggero “La meglio gioventù”, sperando che un dì faccia ritorno. 
Ringraziamo Enrico per queste riflessioni ad alta voce e condivise, lo attendiamo dunque il 22 febbraio per il concerto in quintetto a Roma presso L’Asino che vola. 

Grazie a te Vincenzo e a Critical Minds, vi aspetto on stage per continuare il viaggio.

Vincenzo La Gioia

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