Il mio Godard (Le Redoubtable, Francia, 2017) di Michel Hazanavicius con Louis Garrel, Stacy Martin, Bérénice Bejo, Micha Lescot, Grégory Gadebois, Matteo Martari, Guido Caprino
Sceneggiatura di Michel Hazanavicius, dalle autobiografie “Un anno cruciale” (ed. E/O) e “Un an aprés” di Anne Wiazemsky
Commedia, 1h 49′, Cinema di Valerio de Paolis, in uscita il 31 ottobre 2017
Voto: 6 su 10
Il cinema di Michel Hazanavicius è tanto in grado di catturare l’estetica delle cose, quanto incapace di assecondare il pensiero dietro l’immagine. Qualcuno nutrì tale sospetto già ai tempi dell’acclamato e, invero, irresistibile The Artist (Oscar 2012 al miglior film e regia), per poi trovare la sua lapidaria conferma nell’indigesto The Search, sulla guerra in Cecenia. Il regista francese torna ora, con Il mio Godard, al genere che più gli è congeniale, la commedia cinefila, per raccontare la storia d’amore tra Jean-Luc Godard (Garrel) e Anne Wiazemsky (Martin), negli anni del fermento politico post-sessantotto che indussero il maestro della Nouvelle Vague a una drastica svolta nella propria carriera artistica.
Lo sguardo di Hazanavicius è rispettoso, bonario e inevitabilmente caricaturale: Godard è colto nel periodo della lavorazione di uno dei suoi film più discussi, La cinese, la cui protagonista era proprio Anne Wiazemsky, che su quel set si innamorò, ricambiata, del suo regista. Dalle autobiografie dell’attrice seguiamo la nascita e il progressivo sfaldamento di un amore durato 12 anni e 9 film; nel mentre, la profonda trasformazione che cambiò Godard da cineasta star a irriducibile teorizzatore maoista, fuori dal sistema e da ogni compromesso artistico.
Ne viene fuori il ritratto di un genio incompreso e incomprensibile, infantile, tirannico, provocatore, sempre pronto a schierarsi per i propri ideali ma anche limitato dal suo stesso estremismo; Hazanavicius lo insegue tra le barricate e non gli risparmia scenate e gelosie, ma si vede che è più interessato alla patina che allo spessore: il suo Godard è un temibile (come recita il titolo originale) solo di facciata, le fragilità sono sempre quelle di un uomo innamnorato della sua musa. Confezionato in modo tale da renderlo una delizia per gli occhi, condito qua e là di ironia maliziosa ma sempre elegante (divertente la dissertazione sul nudo integrale al cinema durante una svestizione casalinga) e forte di un’interpretazione particolarmente efficace di Louis Garrel, il film si esaurisce in una gradevole e svaporata aneddotica.
Giuseppe D’Errico
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