“Girl”, un film di Lukas Dhont, la recensione

Girl (id, Belgio, 2018) di Lukas Dhont con Victor Polster, Arieh Worthalter, Oliver Bodart, Tijmen Govaerts, Katelijne Damen

Sceneggiatura di Lukas Dhont, Angelo Tijssens

Drammatico, 1h 45′, Teodora Film, in uscita il 27 settembre 2018

Voto: 7½ su 10

Lo strazio del corpo sotto una duplice lente, inteso come gabbia per il proprio essere e come supporto incapace a sostenere lo sforzo artistico: Girl, abbagliante esordio cinematografico del ventiseienne Lukas Dhont, già salutato a furor di critica con la Caméra d’or nella sezione Un certain regard e il Premio FIPRESCI all’ultimo Festival di Cannes, è la cronaca di un percorso adolescenziale strenue e logorante, quello di Lara, che a quindici anni sogna di diventare una étoile. Le sue giornate sono segnate dalla dura disciplina della danza classica, una routine sfibrante fatta di affanni, sudore e piedi sanguinanti. Eppure il suo fisico fatica a rispondere al bisogno di perfezione che il ballo impone. Forse perché Lara è nata maschio, e soffre irrimediabilmente questa condizione. 

54866Lara è interpretata con mirabile scandaglio emotivo e impressionante modulazione di gesti e comportamenti dal giovanissimo Victor Polster, un miracolo di casting per un ruolo estremamente insidioso e a rischio di banalizzazione. Sul volto efebico dell’attore (e ballerino) passano le emozioni trattenute e gli ardori dell’età di transizione per eccellenza, filtrate dal disagio, spesso umiliante, del vivere in un corpo estraneo alla propria natura. Lara, che prima di uscire si comprime i genitali col nastro isolante, camuffa con malinconici sorrisi un’esistenza sofferta dalla quale vuole fuggire con impazienza, pur conoscendo i rischi della terapia ormonale già intrapresa con i medici. Questa sua insistenza verso la vita che merita è uno dei risvolti più intensi di una sceneggiatura rispettosa ed equilibrata, che non cede mai il passo alla facile morbosità.

La regia di Dhont non lascia respiro allo spettatore e alla sua eroina, la stringe in primi piani serrati mentre danza vorticosamente durante le prove, piroetta dopo piroetta, quasi a volerla inseguire nella sua dolorosa e inesorabile rinascita verso la femminilità. Il risultato è un film asciutto e dalla metafora potente, tra i migliori di sempre a indagare il delicatissimo tema della sessualità transgender.

Giuseppe D’Errico

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