“Fräulein – Una fiaba d’inverno”, esordio sospeso tra ironia e tenerezza

Fräulein – Una fiaba d’inverno (Italia, 2016) di Caterina Carone con Christian De Sica, Lucia Mascino, Therese Hämer, Irina Wroma, Max Mazzotta

Sceneggiatura di Caterina Carone

Commedia, 1h 33′, Videa, in uscita il 26 maggio 2016

Voto: 6½ su 10

Quasi intimidita da tanta attenzione, la nostra ospite parla alla sala muovendosi di continuo sulla sedia, mentre regge nervosamente il microfono in una mano e con l’altra disegna figure nell’aria. Eppure la sua esposizione è chiara e diretta, con un’evidente cura nello scegliere le parole con cui comunicarci i suoi pensieri. Lei è Caterina Carone, classe 1982, che ha scritto e diretto Fräulein – Una fiaba d’inverno, un delicato racconto sull’amicizia e la riconciliazione con il proprio io, che ha il tocco leggero di un soffio di aria fresca nella produzione del mondo della celluloide italiano.

53222Nella dimensione favolistica del film, si viene accompagnati dalla voce narrante di Giorgio Lopez che, pastosa ed avvolgente, ci introduce in un non meglio identificato paese di montagna, abitato da personaggi un po’ strambi e surreali, tra cui la scontrosa Regina (Lucia Mascino), proprietaria di un albergo ormai chiuso da anni, che tutti in città chiamano Fräulein (signorina), dando all’appellativo un significato volutamente ironico. Nel bel mezzo di una tempesta solare, che scuote le tranquille e consuete giornate del villaggio, arriva nottetempo un misterioso turista, Walter (Christian De Sica), che irrompe nella vita di Regina, quasi obbligandola ad ospitarlo nella sua fatiscente pensione. Questo incontro-scontro tra due persone provate, per motivi diversi, dalla vita, darà luogo ad una piccola magia che farà sì che l’uno diventi per l’altro balsamo per le loro rispettive anime un po’ arruffate.

In un impianto dalla manifattura decisamente cinematografica, grazie alle lunghe sequenze incentrate sui dialoghi, viene gradualmente illuminata quella strada che consentirà ad entrambi di ritrovare la parte di sé che avevano dimenticato e che l’uno ricorderà all’altro. Abbandonando anche quelle catene dell’abitudine che consentono di sentirsi al sicuro ma che, forse, costituiscono una gabbia dalla quale risulta poi difficile liberarsi. Come la solitaria Fräulein tenta di fare, attraverso l’ascolto ossessivo di un kit di cassette di meditazione guidata, che ad un certo punto, sfinite, la abbandoneranno, suggerendole così di  iniziare finalmente a vivere.

Sospesa tra ironia e tenerezza, questa lieve fiaba di primavera rispecchia un po’ quella vissuta dalla stessa regista che, dopo aver realizzato alcuni documentari, ha sviluppato e proposto il soggetto per questo suo primo lungometraggio, durante la prima edizione di Racconti, lo Script Lab annuale della Film Fund & Commission dell’Alto Adige, che ha creduto nelle sue potenzialità, supportandola e seguendola nella realizzazione della pellicola. La scelta degli attori protagonisti si è rivelata felicemente indovinata, lì dove ad una ruvida e dalle simpatiche maniere spicce Lucia Mascino, davvero brava e notevolmente espressiva (reduce, peraltro, da una consistente formazione teatrale), si contrappone l’elegante e misurata performance di Christian De Sica, che in trasferta dai tradizionali e dimenticabili prodotti cine-natalizi, rivela insospettabili capacità interpretative, un potenziale, a onor del vero, già dimostrato nell’opera di Pupi Avati Il figlio più piccolo.

In uno scenario ovattato, costruito dalla sapiente fotografia di Melanie Brugger, si compie, probabilmente, un altro prodigio, come lo stesso De Sica racconta, quando ricorda il consiglio a lui più caro, datogli dal padre Vittorio, su come ottenere un esito apprezzabile nel loro lavoro: “devi ascoltare bene chi hai davanti e sentire attentamente quello che dice. Vedrai poi che le parole verranno spontanee e il risultato non potrà che essere buono”. E, questa volta, è parso quasi di percepire un sorriso soddisfatto da lassù.

Lidia Cascavilla

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