“Foxcatcher”, ritratto-incubo dei corpi americani di Bennett Miller

Foxcatcher – Una storia americana (Foxcatcher, Usa, 2014) di Bennett Miller con Channing Tatum, Steve Carell, Mark Ruffalo, Vanessa Redgrave, Sienna Miller, Anthony Michael Hall, Guy Boyd

Sceneggiatura di Bennett Miller, Dan Futtermann, E. Max Frye

Drammatico, 2h 15′, BiM Distribuzione, in uscita il 12 marzo 2015

Voto: 8 su 10

Meritava una segnalazione questo terzo film di Bennett Miller, autore non certo prolifico che, come nei precedenti Truman Capote – A sangue freddo e L’arte di vincere, ama riportare all’interesse comune vicende di cronaca per indagare ad ampio spettro l’animo umano e i suoi chiaroscuri più nascosti. Foxcatcher è forse il suo miglior risultato artistico, cosa accertata anche all’ultimo Festival di Cannes, dove il film è stato premiato per la miglior regia. Stile controllatissimo e ultraclassico, a fronte di una scrittura di ferro e interpretazioni magistrali, per un nuovo ritratto-incubo di corpi americani che sognano orizzonti di gloria.

FOXCATCHER_UNA_STORIA_AMERICANA_GNel 1987, l’inetto ed eccentrico ereditiero John Du Pont (Carell, irriconoscibile) chiama nelle sue tenute sportive “Foxcatcher” in Pennsylvania i due fratelli lottatori Dave (Ruffalo) e Mark (Tatum) Schultz, per preparare la sua squadra alle Olimpiadi di Seul del 1988 e acquisire finalmente quel rispetto che crede di meritare agli occhi della società e soprattutto di sua madre (Redgrave). Mark, già medaglia d’oro, accetta l’invito, restando schiavo dell’invadenza del milionario, che ne controlla ogni decisione. Dave lo raggiunge poco dopo, quando comprende che il fratello è in difficoltà. L’amicizia particolare che ne scaturisce porterà a conseguenze fatali…

Foxcatcher non è tanto un racconto sportivo piegato a una metafora della vita, quanto un romanzo di scontro di classe e di personalità fragili, che esplode nella lotta, mentale e fisica, sportiva solo per alibi. L’atmosfera di oppressione è esaltata dall’eccezionale fotografia desaturata di Greig Fraser, mentre la sceneggiatura lavora di fino nell’accennare una trama di morbose ossessioni (lasciata a margine la sottotraccia omoerotica, tra l’altro mai confermata dal vero Mark Schultz) che si traducono in espressioni di capriccioso infantilismo, tanto puerili quanto agghiaccianti. Tutto senza mai una sbavatura o un cenno sprecato di regia o recitazione: se Miller ha il polso saldo nel tratteggio dei caratteri, gli attori – a cominciare da un sorprendente Channing Tatum – lo assecondano con tre delle performance migliori della stagione.

Giuseppe D’Errico

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