“Due giorni, una notte”, il cinema del rigore dei fratelli Dardenne

Due giorni, una notte (Deux jours, une nuit, Belgio, 2014) di Jean-Pierre Dardenne e Luc Dardenne con Marion Cotillard, Fabrizio Rongione, Olivier Gourmet, Baptiste Sornin

Sceneggiatura di Jean-Pierre e Luc Dardenne

Drammatico, 1h 35′, BiM Distribuzione, in uscita il 13 novembre 2014

Voto: 7 su 10

Quello dei fratelli Dardenne è cinema che non lascia mai indifferenti. I due cantori della cruda realtà, ancora una volta, ci tuffano in una storia tristemente attuale e di lacerante ordinarietà. Col rigore assoluto che li ha sempre contraddistinti, in Due Giorni, una notte raccontano il calvario di Sandra (Cotillard), operaia in una fabbrica di pannelli solari che, dopo essersi assentata dal lavoro a causa di una brutta depressione, si ritrova con il posto a rischio licenziamento. Il capo del personale, infatti, ha indetto una votazione tra gli altri dipendenti: se la donna manterrà il lavoro, tutti dovranno rinunciare a un bonus economico di mille euro. Sandra si ritrova, così, a dover peregrinare di casa in casa per cercare di dissuadere i colleghi dall’accettare i soldi e consentirle di restare in ditta: avrà a disposizione un fine settimana, il tempo del titolo.

Layout 5Film dal contenuto fortemente civile e sociale, giocato però su una linearità che spesso si scontra con la ripetitività ossessiva della situazione, Due giorni, una notte ha il merito di presentarci una vera eroina dei nostri tempi, interpretata da una splendida Marion Cotillard: è con lei che viviamo l’imbarazzo della richiesta, è per lei che parteggiamo, è in lei che crediamo. Allo stesso tempo, i Dardenne non ne fanno una martire a suon di retorica, e ne riflettono l’umanità anche nel comprendere le ragioni dei suoi colleghi, come lei aggrappati alla scialuppa di un premio in denaro in un mare in tempesta chiamato crisi. Una encomiabile scelta di oggettività, che non relega il film ai confini di una facile e demagogica ideologia. Forte il rischio di immedesimazione, un’opera vera e dolorosissima.

Giuseppe D’Errico

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