Più buio di mezzanotte (Italia, 2014) di Sebastiano Riso con Davide Capone, Micaela Ramazzotti, Vincenzo Amato, Lucia Sardo, Pippo Delbono, Giovanni Gulizia, Sebastian Gimelli Morosini, Gabriele Mannino, Carla Amodeo, Rosario Raineri
Sceneggiatura di Andrea Cedrola, Stefano Grasso, Sebastiano Riso
Drammatico, 1h 34′, Istituto Luce Cinecittà, in uscita il 15 maggio 2014
Voto: 6 su 10
Ispirato alla vera storia di Davide Cordova, drag queen e organizzatrice di punta delle serate al locale gay Muccassassina di Roma con il nome d’arte di Fuxia, e terminato in grandi difficoltà, Più buio di mezzanotte è l’opera d’esordio di Sebastiano Riso, che ha avuto il privilegio di essere selezionata per la Settimana della Critica al 67° Festival di Cannes. Ovviamente la cosa rende orgogliosi, ma ci sarebbe piaciuto che a rappresentare l’Italia in una sezione tanto privilegiata (quanto di nicchia) fosse un film con una robustezza più idonea a simili tematiche.
Davide (Capone, per la prima volta sullo schermo) è un adolescente diverso dagli altri. Capelli lunghi e arruffati, sguardo efebico, esile, sembra una ragazza, e il suo istinto naturale va in quella direzione. Il padre (Amato) è severo e omofobo, la madre (Ramazzotti) tenta invano di proteggerlo. A quattordici anni scappa di casa per rifugiarsi nel Parco di Villa Bellini, a Catania, dove entra a far parte di un microcosmo di emarginati. Qui conosce La Rettore (Gulizia), un ragazzo effeminato che fa la vita, e tutto un gruppo di coetanei anche loro scappati dalle rispettive famiglie per affermare la propria diversità. Il prezzo da pagare è il furto e la prostituzione.
Il film di Sebastiano Riso è lodevole nelle intenzioni, smisurato nelle ambizioni e deludente nei risultati. Perché? Perché è bene portare all’ordine pubblico simili pezzi di vita, per educare un senso civico e umano che purtroppo oggigiorno latita. Perché il regista catanese guarda evidentemente a Pasolini, ai suoi ragazzi di vita e alle sue donnacce in via di riconciliazione sociale (con tanto di citazione da Mamma Roma nel lungo pianosequenza notturno tra i vicoli delle prostitute). Perché, per rendere efficace e soprattutto utile un racconto come questo, dovrebbe essere quanto mai necessario andare oltre il consueto cinema italiano contemporaneo a spessore psicologico standard, per restituire un ritratto che posa far riflettere e discutere.
Più buio di mezzanotte, al contrario, soffre una scrittura debolissima, che chiude il piccolo protagonista in una bolla di cristallo e lì lo lascia, muto e inerme, senza dare viva voce alla sua sofferenza. Manca un’inchiesta più audace, il film si ferma a uno sguardo che passa dal punitivo allo stereotipato, senza proporre un minimo accenno di speranza. L’onestà è indiscutibile, non mancano alcuni bei momenti (come l’incontro casuale tra Davide e la madre ipovedente sull’autobus) così come abbondano le forzature (telefonini cellulari e televisori a schermo piatto negli anni Ottanta?), tuttavia sentiamo che sia il caso di incoraggiare produzioni di questo genere, anche quando avrebbero potuto offrire mille volte di più.
Giuseppe D’Errico
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