Brad Mehldau a Roma, la ricerca che parte da Bach e conduce all’improvvisazione jazz

Il pianista jazz statunitense Brad Mehldau ha suonato dal vivo in piano solo “Three pieces after Bach”, il 17 febbraio all’Auditorium PDM di Roma, una personale interpretazione del repertorio del compositore seicentesco attraverso l’occhio dell’armonia contemporanea. Un concerto complesso, non certo per tutti, e ricco di improvvisazioni originali che deviano dalla strada maestra della composizione.
Il Clavicembalo di J.S. Bach è stato il punto di partenza per ideare tre composizioni per piano solo. La musica di Bach per Mehldau è stata un punto di svolta, nonostante aderisse largamente alle regole armoniche della tradizione e fosse addirittura percepita come poco moderna dai suoi contemporanei. Quando ascoltiamo la sua musica ci rendiamo conto di quanto in realtà sia rivoluzionaria . La musica di Bach era il fulcro, il culmine e la fine di una tradizione, che stava puntando al futuro.

La musica «classica», spiega il pianista americano, dà l’opportunità di studiare e di scrivere, diversamente da ciò che succede nella tradizione jazzistica, dove la registrazione costituisce l’archivio della memoria. Ci sono diversi secoli di musica da suonare e meditare, tutto ciò per la nostra crescita culturale. Il piano solo, come possibilità espressiva, rappresenta per Mehldau l’assoluta libertà dalle costrizioni imposte dalla forma e l’assoluta responsabilità di fornire una forma a ciò che si costruisce.

L’improvvisazione consente alla intuizione di guidare la prestazione. Essa conduce noi spettatori al punto di arrivo di tutto ciò che ha amato e assorbito questo favoloso musicista, e ci porta a percepire tutta la sua storia di vita dietro il sipario dell’esibizione, includendo tutto il dolore e il fallimento. Non si può mentire quando si improvvisa, non puoi ingannare il pubblico, le persone se ne accorgono. E proprio la natura astratta e senza parole dell’espressione musicale ha il risultato di produrre la verità di ciò che si sta ascoltando senza interpolazione e con assoluta pragmaticità. Per questo il concerto in “solo”, per qualsiasi artista, è un’operazione sempre coraggiosa, perché complicata e rischiosa.

Vincenzo La Gioia

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