“BlacKkKlansman”, un film di Spike Lee, la recensione

BlaKkKlansman (id, Usa, 2018) di Spike Lee con John David Washington, Adam Driver, Topher Grace, Laura Harrier, Ryan Eggold, Robert John Burke, Paul Walter Hauser, Michael Buscemi, Harry Belafonte, Ashlie Atkinson, Alec Baldwin

Sceneggiatura di Spike Lee, David Rabinowitz, Charlie Wachtel, Kevin Willmott dal romanzo di Ron Stallworth

Commedia, 2h 08′, Universal Pictures International Italy, in uscita il 27 settembre 2018

Voto: 7 su 10

Se non fosse per l’ormai cronica incapacità dell’ultimo Spike Lee di andare per il sottile nelle tematiche affrontate e per l’artificiosità del “caso” insita nella pur gustosa sceneggiatura che troppe mani hanno tratto dall’autobiografia di Ron Stallworth, BlacKkKlansman sarebbe un piccolo capolavoro. D’altro canto, parliamo pur sempre del miglior film che il regista statunitense realizza almeno dai tempi di Inside Man (2006), se non addirittura dall’indimenticabile La 25a ora (2002). 

54849Ambientato nel fiammeggiante profondo sud degli anni Settanta, il film racconta la storia vera del detective di Colorado Springs (interpretato da John David Washington, figlio di Denzel), nero come la pece, che riuscì a farsi passare per un membro del famigerato Ku Klux Klan per boicottarlo dall’interno, con l’aiuto di un collega bianco ed ebreo (un impeccabile Adam Driver) che si sostituirà a lui negli eventi pubblici. Neanche troppo sullo sfondo c’è l’America black che celebra la propria indignazione verso sottomissioni e soprusi, mentre la società wasp resta ad osservare senza agire.

La vicenda ha tutte le carte in regola per essere un viatico quanto mai necessario per un confronto con l’aberrante realtà razzista che, quotidianamente, si manifesta nelle situazioni più ordinarie, oggi, nel nuovo millennio e nei paesi occidentali e iper sviluppati.  Ci aveva già provato George Clooney, senza successo, con l’incompreso Suburbicon, ma la carta estremamente polemica e, allo stesso tempo, ironica e irriverente del regista di Fà la cosa giusta e Jungle Fever coglie in pieno la rabbia del passato trasfigurandola nell’orrore odierno del massacro di Charlottesville, senza dimenticare mai, fortunatamente, l’entertainment.

Riflessione sul razzismo nei secoli che incrocia la blaxploitation più pura, con Rossella O’Hara che cede il posto alla sexy Pam Grier di Coffy, Harry Belafonte a fare memento dello schiavismo e la visione collettiva del classico di Griffith Birth of a Nation a servire da monito contro l’ideologia cieca della superiorità di razza. Troppo lungo per non sembrare dispersivo, BlacKkKlansman riesce a divertire e a far riflettere pur con qualche giustificabile limite di foga, ma sempre conservando un’indiscussa capacità di fare spettacolo con classe e nostalgia per un cinema che non esiste più. Gran Premio della Giuria a Cannes 2018.

Giuseppe D’Errico

 

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