“Battuage”, operazione programmatica di sgradevolezza per Anastasi

Vuccirìa Teatro
BATTUAGE
scritto e diretto da Joele Anastasi
interpreti Joele Anastasi, Enrico Sortino, Federica Carruba Toscano, Simone Leonardi
aiuto regia Enrico Sortino, Nicole Calligaris
scene e costumi Giulio Villaggio
disegno luci Davide Manca
musica originale “Battuage” Alberto Guarrasi
make up Stefania D’Alessandro
foto Dalila Romeo
video Giuseppe Cardaci
organizzazione e distribuzione RAZMATAZ
ufficio stampa leStaffette

Stagione Dominio Pubblico, in scena al Teatro dell’Orologio di Roma 2-3-4 maggio 2014

Voto: 4 su 10

Il termine “battuage” è un finto francesismo con cui la comunità gay ha ironicamente indicato quei luoghi in cui gente in cerca di sesso occasionale può trovare soddisfazione ai propri appetiti senza che il rapporto sessuale presuma un pagamento, a differenza della prostituzione. Gli ambienti del battere possono essere parchi, sale cinematografiche, spiagge e parcheggi, molto più spesso vicoli appartati e bagni pubblici. battuage_locandina_2014DEFINITIVAIl velato microcosmo umano che lo anima è stato più volte al centro di film discussi, dal celebre Cruising di William Friedkin fino al recente Lo sconosciuto del lago di Alain Guiraudie; a teatro, ha avuto risonanza mondiale l’opera di Tony Kushner Angels in America (diventata poi una straordinaria miniserie televisiva e rappresentata in Italia da Elio De Capitani), dove Central Park di notte era rappresentato come una foresta di scambismi e incontri promiscui.

Il testo di Joele Anastasi – siciliano, classe 1989, fondatore della compagnia Vuccirìa Teatro e giunto al suo secondo allestimento dopo il premiato Io, mai niente con nessuno avevo fatto – cavalca l’argomento tabù con la proverbiale delicatezza dell’elefante nella cristalleria, affastellando episodi e storie private senza una precisa struttura drammatica. Troviamo così il giovane Salvatore (lo stesso Anastasi) in slip, giacca di pelle e tacco dodici, preda di un delirio di narcisismo violento teso a giustificare una lontananza dalla terra natale che, in seguito, rivelerà ben altri traumi; due trans (Sortino e Leonardi) che si spartiscono il territorio di lavoro; un ragazzo (Sortino) che dell’atto sessuale ha fatto una patologia mentale; una prostituta greca (Toscano) in cerca della sua compagna scomparsa; una coppia borghese (Leonardi e Toscano) con il vizietto in agguato.

Operazione programmatica di sgradevolezza, teatro di provocazione dove l’emotività viene furiosamente rincorsa e strozzata in mille rivoli di stereotipata disperazione, e quando i cliché raggiungono i livelli di guardia, l’autore la butta nel melodramma più selvaggio (pessimo il finale). Ma non è tanto l’abuso dei luoghi comuni in maniera così urlata a infastidire, quanto il mancato rispetto verso la sensibilità comune, con derive blasfeme e volgarità completamente gratuite ad inficiare anche la bontà di un riuscito momento grottesco (le due trans in pose plastiche a rimarcare all’unisono parole e gesti di una vita da derelitti) e una concezione scenica d’effetto (vespasiani a vista, un interno di lerciume e il moto perpetuo di vestizioni e svestizioni dei protagonisti sullo sfondo).

Ottimo Simone Leonardi, l’unico in grado di infondere una concreta umanità ai ruoli che è chiamato a ricoprire, mentre è assai più farraginosa, benché senza risparmio, la prova di Anastasi, Sortino e Toscano. Meno esagitazione, meno drammone a forti tinte, qualche mezzo tono in più avrebbero giovato a uno spettacolo che resta arido e superficiale, con poco su cui riflettere.

Giuseppe D’Errico

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