#arenaestiva: “Il padre d’Italia”, un film di Fabio Mollo, la recensione

Il padre d’Italia (Italia, 2017) di Fabio Mollo con Luca Marinelli, Isabella Ragonese, Anna Ferruzzo, Mario Sgueglia, Esther Elisha

Sceneggiatura di Fabio Mollo e Josella Porto

Drammatico,1h 33’, Good Films, in uscita il 9 marzo 2017

Voto: 6 su 10

In una stagione cinematografica italiana dominata da pessime commedie, l’uscita in sala (e ora in qualche coraggiosa arena estiva) di un piccolo film come Il padre d’Italia ha significato molto per chi crede ancora che il nostro cinema può e deve dire qualcosa del proprio momento storico al suo pubblico. Opera seconda di Fabio Mollo, giovane regista calabrese che esordì due anni fa con l’impegnativo Il Sud è niente, è stata vanamente fatta passare per ciò che non è, ossia un film sulla stepchild adoption, il decreto di legge bocciato in senato in concomitanza all’approvazione delle unioni civili, che avrebbe consentito l’adozione a coppie dello stesso sesso.

locandinaIn realtà, la pellicola di Mollo non ha quasi nulla di politico o ideologico al suo interno, non vuole riproporre l’ennesimo, sterile dibattito sulla genitorialità omosessuale, ma tenta un discorso più complesso, che parte da lontano, dalle basi di un bilancio esistenziale che si scontra con l’incertezza di un futuro, nel paese dove per i giovani è impossibile fare progetti. Il padre d’Italia, infatti, è la storia di Paolo (Marinelli), un ragazzo gay reduce da una relazione chiusa non senza dolore, che una sera incontra Mia (Ragonese), una sbandata in evidente stato interessante, assolutamente incosciente e senza alcuna idea su che strada prendere per sé e per la bambina che darà alla luce. Paolo, suo malgrado, si carica di questa responsabilità e intraprende con la ragazza un viaggio che, da Torino, arriverà a toccare Roma e Napoli, fino alla Calabria, nella speranza di trovare una qualche stabilità per Mia. Ovviamente sarà un viaggio costruttivo per entrambi.

Il film ha un importante merito, quello di riflettere in termini assolutamente umani sullo sbando sentimentale, etico e morale della nuova generazione di trentenni che non ha più nulla in comune con quella ritratta qualche anno fa da Muccino: Paolo e Mia riflettono le difficoltà dei giovani di appartenere a qualcuno, la necessità di avere delle origini e la paura di rintracciarle e sentirle proprie, il senso di autodeterminazione che, forse, può scaturire solo dalla nascita di una nuova vita. Immagini potenti e reali che, purtroppo, non trovano una giusta dimensione in una scrittura esile e banale, dalle premesse narrative piuttosto inverosimili e con un pessimo raccordo tra tempi e spazi degli eventi raccontati. La bella fotografia di Daria D’Antonio è forse l’unico elemento che riesce a sposarsi bene e a esaltare la profondità dei temi, mentre la regia è spesso invadente e carica di simbologie assai pesanti (il cartellone pubblicitario della famiglia felice, il giacchetto di Mia con un’enorme Madonna sulla schiena). Fortunatamente sono ottimi gli attori, sebbene Isabella Ragonese rimanga più volte vittima di un ruolo forse fin troppo gratuitamente sopra le righe, mentre emoziona ancora una volta la sensibilità con cui Luca Marinelli crea i suoi personaggi, rendendoli reali nonostante i limiti di sceneggiatura.

Si può rincorrere lo schema narrativo collaudato (il più evidente è quello del cult di Jonathan Demme Qualcosa di travolgente) ed è giusto trovare ispirazione in vecchi autori (lo Scola di Una giornata particolare) e nuovi autori (Dolan di Laurence Anyways), ma è un peccato se poi, tra loro, ci si perde, cercando un appiglio sicuro nella canzone anni Ottanta o nel momento “carino”; si finisce così per perdere di vista l’obiettivo principale e fare un torto alla bellezza e, perché no, alla delicatezza dei temi affrontati.

Giuseppe D’Errico

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