AIDA
Musica di Giuseppe Verdi
Opera in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni
Direttore, Frédéric Chaslin
Regia, Francesco Micheli
Scene, Edoardo Sanchi
Costumi, Silvia Aymonino
Luci, Fabio Barettin
Coreografie, Monica Casadei
Maestro del Coro, Andrea Faidutti
… … …
Interpreti:
Il Re Luca Dall’Amico
Amneris Nino Surguladze (12, 15, 19, 21/11) / Cristina Melis (14, 16, 18, 22/11)
Aida Monica Zanettin (12, 15, 19, 21/11) / Stefanna Kybalova (14, 16, 18, 22/11)
Radamès Carlos Ventre (12, 15, 19, 21/11) / Antonello Palombi (14, 16, 18, 22/11)
Ramfis Enrico Iori (12, 15, 19, 21/11) / Antonio Di Matteo (14, 16, 18, 22/11)
Amonasro Dario Solari (12, 15, 19, 21/11) / Stefano Meo (14, 16, 18, 22/11)
Gran Sacerdotessa Beth Hagermann
Messaggero Cristiano Olivieri
Orchestra e Coro del TCBO
Produzione del Teatro Comunale di Bologna con il Macerata Opera Festival
Voto: 8 su 10
Si è puntato sull’essenzialità, sul minimalismo e sull’innovazione per l’Aida di Giuseppe Verdi messa in scena da Francesco Micheli al Teatro Comunale di Bologna e molte di queste scelte si sono verificate efficaci e di grande impatto, seppur con qualche ridondanza ed esagerazione, soprattutto nell’aspetto didascalico della messa in scena.
Andata in scena per la prima volta nel 1871, l’Aida di Giuseppe Verdi è l’unica opera che nasce non su fonte letteraria, ma prende spunto da un canovaccio dell’archeologo Auguste Mariette. Nonostante ciò la ninfa vitale del libretto è densa di stereotipi che ricalcano grandi tematiche come il triangolo amoroso, la guerra, la supremazia, il potere, la gloria, il tutto incastonato in un mondo remoto e favoloso, quello Egizio, che riporta a un immaginario fatto di sfarzi, splendore, grandi monumenti e strepitii guerreschi.
La trovata originale della regia di Francesco Micheli consiste proprio nel riportare un’opera che per sue essenza richiama un certo tipo di sfarzosità a un’essenzialità che diventa nello stesso tempo moderna e antica. È moderna nell’uso delle luci, delle forme, dei colori, nell’uso anche in scena di tablet che riportano con il pensiero ai voluminosi tomi amanuensi. Lo stesso impianto scenografico all’interno del quale si muovono gli attori è a forma di libro, un enorme tomo bianco, dentro il quale il regista decide di scrivere la storia. Ed è proprio dentro questo contesto – pieno di insidie per gli attori, costretti a recitare sempre su un piano inclinato con due botole sul fondo dal quale entrano ed escono i protagonisti – che la drammaturgia disvela anche la sua vena antica, il richiamo continuo ai geroglifici, sia nelle immagine proiettate sul fondale bianco, sia nei bellissimi abiti indossati dagli attori ( una menzione di merito va data alla costumista Silvia Aymonino che ha disegnato degli abiti davvero stupendi per l’occasione, ricchi di richiami e simbologie egizie) che creano un intreccio visivo che si incastra alla perfezione con la partitura. Un quadro visivo ulteriormente arricchito dall’idea, molto bella e riuscita – anche se qualche melomane accanito probabilmente non ha gradito – di coreografare la famosa marcia trionfale e inserire diversi momenti di danza contemporanea davvero suggestivi grazie alle suggestive coreografie di Monica Casadei e ai bravissimi ballerini in scena.
Alla bellezza pittoresca della messa in scena, molto efficace nonostante alcune volte si perda nell’essere eccessivamente didascalica, si contrappongono le voci che, dato il contesto minimalista nel quale sono inserite, avrebbero dovuto avere più potenza espressiva e più forza per far emergere al meglio la storia. Ciò che si constata nel canto è espressività vocale piuttosto neutra, nessuno dei protagonisti spicca per potenza espressiva e coinvolgimento. La protagonista, interpretata da Monica Zanettin, è sicuramente un’ottima interprete ma non colpisce e non lascia il segno, sebbene la sua sia una corretta esecuzione, così come lo è anche quella di Carlo Ventre che nel suo Radamès pecca dello stesso anonimato canoro. Di maggiore spessore è l’interpretazione di Nino Surguladze nella sua Amneris che possiede una bella ampiezza non solo vocale ma anche scenica.
La concertazione di Frédéric Chaslin risponde a una visione molto analitica dell’opera, anch’essa priva di guizzi interpretativi. Una nota di merito va invece al coro del Teatro di Bologna che, sebbene non abbia preso l’applauso del pubblico perché non è stato chiamato in scena sul finale, ha avuto un ruolo predominante nell’esecuzione dei sacerdoti e delle sacerdotesse che rivestono un ruolo fondamentale all’interno dell’opera.
Amelia Di Pietro
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